di Carlo Barbagallo
Suscita raccapriccio quanto sta accadendo negli ultimi giorni nel Canale di Sicilia e in Macedonia, e di fronte a questo disastro, anziché trovare soluzioni immediate, si sta a disquisire sui termini “migranti” oppure “profughi”. Accademismi sterili, inutili e fuorvianti di una realtà che è sotto gli occhi di tutti ma alla quale nessuno “sembra” in grado di mettere un freno. Questi fuggitivi dai loro Paesi in guerra sono soltanto dei disperati, esseri umani disposti a pagare con la loro vita (o con tutto quello che posseggono) una speranza estrema, la “speranza” di un futuro diverso dove non ci sia guerra o miseria o fame. Disperati che è dovere di aiutare e, poi, non abbandonare consentendo agli speculatori di lucrare sulla loro pelle nei vari e inadeguati centri di accoglienza temporanea.
In Macedonia migliaia di fuggitivi bloccati al confine tra Grecia e Macedonia hanno oltrepassato i blocchi della polizia e sono entrati nel Paese balcanico nonostante l’uso di granate assordanti per cercare di bloccare il flusso di persone. Nel Mediterraneo l’ultima nuova ondata dalla Libia: secondo stime sarebbero tra le duemila e le tremila persone, a bordo di decine di gommoni alla deriva che hanno lanciato l’allarme chiedendo l’intervento dei mezzi di soccorso italiani ed europei operanti nel canale di Sicilia. E’ una situazione alla quale non viene data la parola “fine”, quasi a dimostrare l’inadeguatezza dei singoli governi europei, della stessa Unione Europea nel redigere un vero “piano” risolutivo, o (forse) la mancanza di una volontà politica a mettere in campo gli strumenti necessari.
A seconda degli avvenimenti quotidiani di altra natura, i migranti quasi sempre sono all’attenzione dei mass media: non è un “problema” sconosciuto, ma uno stato di fatto “permanente”, che tale è destinato a rimanere se non si trova una via d’uscita “umana” e “civile”. Un problema che rischia di innescare tensioni e contrapposizioni anche all’interno delle comunità nelle quali dovrebbero inserirsi, almeno quanti riescono a superare il viaggio drammatico cui si sottopongono, raggiungendo una meta qualsiasi.
Vengono spese migliaia di parole sul funerale-show a Roma del boss Casamonica, ma si evita di usare il termine scandalo per quanto continua a verificarsi nelle acque dell’ex Mare Nostrum, o in Grecia o in Macedonia, così come non fanno più scandalo gli eventi che fanno da corollario alla “sistemazione” dei fuggitivi nelle collettività che li rifiutano o li accolgono in malo modo per abusi di potere di chi è preposto al loro “smistamento” sul territorio.
Si è ripetitivi nello scrivere su questo esodo senza precedenti “naturali”: un articolo scritto mesi e mesi addietro potrebbe essere riproposto senza cambiare una virgola e rimarrebbe attuale, perché da mesi e mesi non è cambiato nulla. La situazione, semmai, si è aggravata ulteriormente, ma i motivi di fondo di questa tragedia sono identici. Cosa occorrerebbe fare per spingere i cosiddetti governanti l’Europa (e l’Italia per quel che ci riguarda direttamente) a prendere decisioni veramente risolutive? Aspettare che la tragedia assuma dimensioni ancora più terrificanti e irreversibili? Una risposta noi non sappiamo darla: la responsabilità (che si voglia, oppure no) ricade sempre su chi ha il potere di fare.